venerdì 18 febbraio 2011

Alterarti intervista Laura Bisotti


A: Ci racconti cosa ti ha portato a fondere diverse tecniche artistiche all’interno di un unico procedimento creativo? 
L: L’incisione perché è una tecnica - ma credo anche uno spirito - di cui, negli anni, mi sono innamorata sempre di più, in cui ritrovo un’affinità. Amo la lentezza che richiedono i suoi processi. Oggi mi rendo conto che mi ha accresciuto umanamente, mi ha insegnato il senso del tempo e dell’attesa. Le inserzioni a matita sono dovute alla necessità di trovare e trasmettere un senso di sovrapposizione e trasparenza che sveli i diversi livelli e passaggi del mio pensiero e del mio lavoro. Le parole a macchina da scrivere invece sono il bisogno di ricorrere sempre ad un elemento narrativo. La macchina perché è fredda, più pulita della mia mano e, in base al lavoro, questo contrasto può essere importante. Inoltre è una scrittura a timbro, dunque vicina all’incisione.


A: La realizzazione delle tue opere parte da un lavoro manuale, fisico, faticoso, per giungere a lavori che trasmettono un senso di instabilità e delicatezza. Ci spieghi come sei arrivata a questo tipo di approccio?
L: Credo che il contrasto tra il processo incisorio con materiali duri, faticosi da trattare e  le qualità della carta, un supporto debole e delicato, si leghino al mio modo di essere. Mi piace il passaggio, la trasformazione, il senso del nascosto che c’è nel processo incisorio.


A: Nei tuoi lavori si respira un forte senso di precarietà e indefinito, avresti voglia di approfondirne le ragioni?
L: Il senso di precarietà? Credo che in fondo non sia tanto una scelta ma un’inclinazione del mio sguardo, dunque della mia persona, del mio carattere. Fuggo da tutto quello che è gridato, dichiarato con certezza, definito e rigido; mi piace tutto ciò che si intravede, ma non è delineato. Amo la nebbia, le sfumature di grigio nel cielo d’inverno o prima della pioggia. Il grigio per me è il colore dell’umidità.


A: I tuoi lavori si compongono di piccole unità che unendosi e accostandosi le une alle altre creano l’opera finale, è una questione poetica o formale?
L: Le piccole unità che compongono l’insieme rimandano all’idea di precarietà. Sono frammenti, piccoli pensieri, appunti silenziosi, appena accennati. Direi che è una questione poetica. Indubbiamente hanno un senso anche formale che non riesco ancora a cogliere precisamente.


A: Che valore attribuisci al segno, sia da un punto di vista grafico che semiotico?
L: Il segno è il risultato della sintonia tra la mia mano e il mio sentire. Di solito mi sento rigida e dura nel coordinare i movimenti del corpo; il disegno è il solo momento in cui tutto diventa più semplice, dico alla mia mano di farsi dolce e delicata nei movimenti, ma forte nella volontà. Non so se mi spiego…la mano deve essere sciolta ma il pensiero che la muove forte, sicuro. Graficamente un segno deve vibrare, è come un tempo musicale, deve modulare la scala dei grigi e riuscire a trasmettere un senso di profondità ed emozione.


A: In Appunti l’immagine dei panni stesi al vento è ripetuta su tutta la superficie dell’opera, potresti accennarci da dove è nato l’interesse per questo soggetto?
L: La passione per le lenzuola che asciugano gonfiandosi nel vento nasce lontano. Non so bene quando, ma essendo così forte la bellezza che ritrovo in quest’immagine suppongo che si leghi a un episodio dell’infanzia che non so ritrovare. Associo a questo soggetto un forte senso di bianco.


A: La nascita di Appunti è stata influenzata da qualche opera letteraria o artistica?
L: Per Appunti non ho avuto un vero e proprio testo di riferimento, ma ricordo che in quel periodo c’era un libro che leggevo e rileggevo; si intitola “Affrontare la musica” di Paul Auster ed è una raccolta di poesie.
A livello formale invece mi ero appassionata molto all’opera di Jorinde Voigt, giovane artista tedesca.


A: Sfogliando i tuoi libri d’artista e osservando i tuoi lavori abbiamo notato che l’opera Verrà la morte si discosta dal tuo consueto approccio tra parola e immagine. Potresti spiegarci il motivo?
L: Verrà la morte è il primo libro d’artista che ho realizzato, s’inspira ad una poesia di Cesare Pavese il cui titolo è proprio “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”; ho tentato di trovare delle immagini che esprimessero la meravigliosa profondità di quei versi. Si tratta del primo approccio con il genere del libro d’artista, e allora, un po’ ingenuamente, ho sentito la necessità di seguire passo a passo un testo, di renderlo esplicito. Nei lavori successivi ho abbandonato il rigido accoppiamento testo-immagine, continua ad esserci ma in maniera più nascosta. Un’altra grande differenza con i libri successivi è il non aver utilizzato l’incisione, credo che “Verrà la morte” si contraddistingue per il suo aspetto decisamente pittorico e per essere un pezzo unico, quasi un punto di partenza.


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